I confini tra sana rivalità, odio, razzismo

Lunga sosta in tutta Europa per far disputare la UEFA Nations League e allora vale la pena parlare di quanto avvenuto circa il razzismo negli stadi in Inghilterra. “Porto ad Auschwitz i tifosi razzisti”, così si è espresso Roman Abramovic dopo che alcuni tifosi del Chelsea intonarono cori antisemiti durante la gara contro il Tottenham. Da segnalare che il proprietario russo dei Blues, di origine ebree, ha spesso dichiarato la sua volontà di sconfiggere il razzismo almeno sugli spalti di Stamford Bridge. Lo segue con la stessa determinazione Bruce Buck, che del Chelsea è Presidente, che ha affermato: «Allontanare le persone dallo stadio non basta, questa politica permette all’individuo di capire quello che ha fatto e l’errore. In passato li avremmo individuati tra la folla e allontanati per tre anni dagli spalti.

E in Italia? Proprio la scorsa settimana ci sono stati insulti nei confronti della città di Napoli e cori razzisti indirizzati a Koulibaly nel corso di Juventus-Napoli, la conseguenza è stata la chiusura per due giornate di due settori dello stadio della Juve. Davide Pisoni sul Giornale scrive al riguardo che “si va avanti con le curve chiuse. Si insiste su un provvedimento la cui efficacia è effimera perché dopo anni il razzismo resta. Più che altro è una punizione dai connotati pilateschi”. Fermo restando che rimane aperto il dibattito tra quello che è il campanilismo tra comuni italiani e quello che è vero e proprio razzismo, viene in mente quello che è successo ai tifosi della Lazio tempo fa: chiusa la curva Nord per cori razzisti e poi “dimostrarono” di aver capito la lezione andando ad attaccare nella curva della Roma figurine di Anna Frank con la maglia giallorossa.

Si può purtroppo affermare però che stiamo parlando di un problema internazionale e difficile da estirpare, ma in Italia sembra permanere anche un problema di fondo preoccupante perché ha a che fare con la mentalità e atteggiamenti di carattere socioculturale che addirittura sembrano aumentare invece di attenuarsi. E cioè la tendenza a formare l’identità del tifoso più nell’odio per i rivali diretti che nel sostegno alla propria squadra, non che negli altri paesi non esistano le rivalità e anche episodi di razzismo, ma in Italia sembra che l’identità “anti” risulti determinante e fondante.

Vale allora la pena riportare quanto affermato da Carlo Ancelotti, da poco ritornato in Italia dopo aver allenato in quattro nazioni, Inghilterra, Spagna, Francia, Germania, perché il suo commento sulla situazione italiana sembra pertinente e addirittura parte non solo dal razzismo ma anche dalle basi di un rapporto sportivo, civile, appunto socioculturale. “Ho notato che la base di tutto è a livello di infrastrutture e di carenza culturale. In giro per l’Europa ho visto infrastrutture bellissime e stadi pieni, ma soprattutto ho assaporato la vera rivalità sportiva. Ecco, su questo punto siamo davvero indietro anni luce. Sono tornato in Italia a distanza di anni, ma ancora mi tocca sentire insulti di ogni tipo dentro gli stadi. Bisogna finirla: non si tratta di rivalità, ma di maleducazione. La rinascita deve partire anche da qui”. Vengono in mente alcune considerazioni di architetti che hanno sempre sottolineato che quartieri (e stadi) degradati alimentano il degrado culturale, mentre quartieri (e stadi) riqualificati modellano anche il comportamento delle persone.