Vincenti o perdenti? No al tottismo, malattia infantile del tifo

Nello sport o si vince o si perde. Perchè lo sport è una competizione, non si va in campo per partecipare, no. In Italia ci sono due culture, una vincente e una perdente. La cultura perdente è quella che io chiamo del Tottismo, intrisa di romanticismo populista e nostalgico, che porta a idolatrare un ex giocatore di 41 anni come se fosse un dio in terra, quando in realtà è solo una palla al piede. Proprio così. La Roma negli ultimi dieci anni è sempre arrivata seconda, prima dietro all’Inter e poi alla Juve, perchè nel mondo giallorosso vige un “culto della personalità” che mette un singolo davanti alla squadra, infatti loro sono la piazza dei perdenti per antonomasia. Non è un caso che lo stadio rossonero ieri abbia tributato con cori e striscioni Totti, infatti il Milan non vince praticamente nulla da dieci anni. Le bandiere sono belle e commoventi, ma possono essere ingombranti e la retorica è sempre dietro l’angolo. Mi costa parecchio dirlo e riconoscerlo, ma alla Juve si sono comportati in maniera diametralmente opposta e oggi sono indiscutibilmente – e va detto senza infantilismi, se si vuole tornare a vincere e fare il bene dell’Inter – il modello vincente: Del Piero, ricordate, fosse stato per lui, avrebbe giocato fino a 45 anni, ma i dirigenti bianconeri non si sono fatti problemi a pensionarlo senza tanti complimenti e lo stesso faranno con Buffon se dovesse prendere la stessa piega. E da quando hanno pensionato Del Piero alla Juve hanno ricominciato a vincere e non si sono più fermati. E L’Inter? Negli ultimi dieci anni prima ha vinto tutto, poi si è dibattuta tra tendenze tottistiche e il tentativo di costruire una mentalità vincente duratura, anche imparando dal nemico. Anche all’Inter c’è chi non tifava Inter, ma alcuni singoli giocatori che hanno dato (e ricevuto) tantissimo, sempre li ringrazieremo, ci mancherebbe, ma a un certo punto ci si è trovati di fronte alla necessità di gestire gli anni del post-triplete in maniera diversa. Il rovescio della medaglia è anche nel cercare il capro espiatorio, ci sono tifosi che individuano in un singolo giocatore o nell’allenatore la causa di tutti i mali e lo perseguitano. Se la società è succube di questi meccanismi e gli va dietro non riesce ad uscirne ed è condannata a perdere sempre. Oggi vediamo come Zanetti è vicepresidente dell’Inter e da mesi sponsorizza Simeone, di fatto delegittimando Pioli e prima De Boer. Qui non si discute il fatto che Simeone sia meglio di Pioli (lo è) o che Zanetti sia una bandiera (lo è, ovvio), ma dell’opportunità di un comportamento del genere. In un ambiente come l’Inter non possono esistere traghettatori, l’allenatore va sostenuto, almeno ufficialmente, poi nel segreto delle stanze si può programmare il futuro e trattare Simeone o Conte, ma va fatto con la giusta “ipocrisia” e nei modi giusti. Il vicepresidente in questi sei mesi non ha mai speso una parola di sostegno a Pioli, si è chiuso in un silenzio tombale che vale più di mille parole. Ricordate, prima viene la squadra, la società, poi il singolo. Il bene dell’Inter prima di tutto e di ogni personalismo. “Nessuno è più grande dell’Inter” (cit. De Boer). Facciamo quindi un appello in queste tristi ore, Zanetti dica una parola in favore di Pioli, nel tentativo di chiudere onorevolmente la stagione in queste ultime tre partite, poi si vedrà, per carità, chi non vorrebbe Simeone, ma nei tempi e modi giusti.