Italia fuori dai mondiali, Sacchi si chiama fuori

Iniziati i mondiali, corollati dalla consueta cerimonìa di inaugurazione ormai standard, da un’orrenda partita tra Russia e Arabia Saudita con il portiere di questi ultimi che sarebbe difficile definire un’atleta, dal discorso di Putin che ha rinnovato la tradizione dei governanti russi di autorappresentarsi come pacifisti con il ramoscello d’ulivo in mano, oltre che dalla presenza a questa rassegna di capi di Stato solo di paesi non liberali, potremmo ora chiederci perchè l’Italia non è presente a questi campionati dandoci una risposta se vogliamo provocatoria. 

Certo, è evidente che il massimo responsabile di questo fallimento azzurro risponde al nome di Ventura, ma il punto è che molto probabilmente se anche l’Italia fosse andata in Russia non avrebbe superato gli ottavi, ad andar bene. Quindi c’è qualcosa che non va. E’ un dato di fatto che il nostro paese non ha prodotto campioni dai nati dalla metà degli anni ’80 in poi. E’ vero che tra i ’97, ’98 e ’99 ci sono molte promesse, vedremo e speriamo dove arriveranno e sboccieranno, ma diciamo che è da questa fascia di età che la produzione di campioni si è bloccata nel paese dei poeti e navigatori.

Evidentemente qualcosa non ha funzionato nelle scuole calcio a partire dagli anni ’90. Il risultato principale è che sopratutto non produciamo più difensori centrali e portieri, cioè il capisaldo del nostro calcio all’italiana. Può centrare qualcosa quella rivoluzione avvenuta a cavallo degli anni ’80 e ’90, accentrata intorno al nome di Arrigo Sacchi, quando il calcio italiano si convertì alla zona, al pressing, rinnegando il contropiede, smettendo di marcare a uomo, persino in alcuni casi sui calci d’angolo?

Rafinha Inter
Rafinha, un dieci di troppo?

Di certo così non la pensa Arrigo Sacchi, che continua a sostenere che il nostro calcio sia difensivista, risultatista, “cinico”, eppure l’ex allenatore del Milan forse si sottovaluta, il suo credo ha dato un’impronta enorme in questi ultimi 25 anni al calcio italiano, infatti la maggior parte degli allenatori di serie A si possono tranquillamente definire sacchiani, seppur magari non tutti integralisti, ma sicuramente lo sono Sarri, Allegri, Spalletti, Di Francesco, eppure l’ultima italiana a vincere in Europa fu l’Inter con il “trapattoniano” Mourinho e prima ancora il Milan con il sacchiano non ortodosso e di buon senso e pragmatico Ancelotti.

Arrigo Sacchi lamenta che in Italia non interpretiamo il calcio in maniera armonica, collettiva, offensiva, ma ancora individuale, eppure a me sembra che lui abbia profondamente inciso sul nostro calcio negli ultimi anni e a mancare sono state proprio le individualità e la fantasìa, soggiogate ad un’idea totalitaria di squadra e armonìa. Che fine hanno fatto i numeri dieci, spesso relegati dai 4-3-3 0 4-4-2 sacchiani a calpestare la linea del fallo laterale o a limitarsi a giocare sulla fascia opposta al proprio piede per rientrare sull’interno e tirare? E che dire anche di chi interpreta il 4-2-3-1 con un trequartista che in realtà deve essere una mezz’ala incursore alla Perrotta o Nainggolan, e non un vero dieci alla Rafinha?

E che dire anche della metamorfosi dei nostri difensori centrali, alla Bonucci, più bravi a impostare che a marcare, che non gettano mai la palla in tribuna e pensano più all’estetica che alla sostanza, bravissimi a tenere la linea, ma non l’uomo? Davvero Sacchi non c’entra nulla con i fallimenti del calcio italiano degli ultimi anni? Non è stato lui il coordinatore tecnico delle nazionali giovanili dal 2010 al 2014? O era un’altra persona?