Lo Juve-Inter del ’61 segna un punto di non ritorno nella storia della rivalità tra le due squadre. Una rivalità già forte negli anni ’30 quando una sfida all’Arena finì con tre nerazzurri espulsi, tra i quali Meazza. Ma quello che accade nel ’61 probabilmente influenzerà anche l’intuizione di Gianni Brera, che chiamò Inter-Juve il “derby d’Italia”, dove c’entrano poco il computo degli scudetti vinti e molto più i sentimenti forti che suscita questa partita. Ma per ricordare cosa accadde in quell’anno fatidico riprendiamo un brano di “Piedi puliti”, di Coen-Gomez-Sisti.
“Il 16aprile del 1961: sono trascorsi cinquantadue anni ma la memoria della partita è assai vivida, è la pietra angolare della rivalità attuale. L’Inter del “mago” H.H., al secolo l’allenatore Helenio Herrera (strappato al Barcellona per una cifra allora strabiliante) venne a Torino per incontrare la juve di Sivori, Charles,Boniperti, Stacchini, Nicolé, Mora. Anche quella volta l’Inter, che aveva guidato la classifica per metà campionato, era stata sorpassata dalla Juve. Pure in quell’occasione il confronto diretto era decisivo per la lotta dello scudetto. Ne successero di cotte e di crude. La folla esuberante travolse ogni protezione. Il Comunale scricchiolò sotto l’assalto di diecimila spettatori in più. Non trovando posto sulle gradinate, i tifosi piano piano si accamparono lungo le linee laterali del campo.
L’arbitro Gambarotta di Genova avrebbe dovuto sospendere la partita: e questo gli chiese l’Inter. Gambarotta fu di parere contrario. Si giocò egualmente. L’inter di Corso e Angelillo (di lì a poco l’asso argentino avrebbe litigato definitivamente con Herrera e smesso i colori nerazzurri) colse subito una traversa. Al trentunesimo del primò tempo, tuttavia, la folla straripò. Gambarotta sospese la partita e assegnò la vittoria a tavolino per l’inter, un 2 a O che metteva nei guai la juve, pressata in classifica anche dal Milan di Rivera e Altafini.
Il 26 aprile (ah, i corsi e ricorsi della Storia…) la Lega ratificava il risultato: il giudice sportivo non aveva fatto altro che applicare il regolamento. Sollecitata dal giovane avvocato Vittorio Chiusano, molto vicino al presidente della juventus Umberto Agnelli, la squadra piemontese presentò ricorso. La mossa dal punto di vista legale fu molto abile. Ma sul piano dell’immagine si rivelò un vero e proprio autogol. Perché Umberto Agnelli ricopriva anche la carica di presidente della Federazione Calcio (il più giovane della storia, aveva venticinque anni). La manfrina produsse gli effetti sperati – o “pilotati”, come protestò mezzo mondo. Il 3 Giugno la Commissione d’appello federale (il temuto Caf), in terzo e ultimo grado, ordinava la ripetizione dell’incontro “per la buona fede della squadra ospite”.
Si scatenò il putiferio. Un generale coro d’indignazione, non solo da parte del clan nerazzurro. L’avvocato interista Peppino Prisco, braccio destro di Angelo Moratti, accusò la Caf di aver “subito l’ingerenza del presidente federale”. “In realtà.”, è l’analisi obiettiva di Antonio Ghirelli nella sua preziosa Storia del calcio in Italia, “la formulazione oscura e bizantina delle norme regolamentari autorizzava le più disparate interpretazioni, anche se la polemica veniva a confermare l’inopportunità dell’abbinamento tra le due cariche di Umberto Agnelli e soprattutto le gravi conseguenze della perduta indipendenza degli enti federali”.
Moratti era furibondo. Capì d’essere stato beffato. Per ripicca, spacciandolo come gesto di disprezzo obbligò Herrera a mandare in campo, per la ripetizione della partita, la squadra baby. La juventus se ne infischiò: badò al concreto, come era ed è tuttora radicato nel suo cromosoma comportamentale. Vinse 9 a1, con sei gol di Omar Sivori, record tuttora imbattuto. E si accaparrò lo scudetto.”